I test proiettivi in età evolutiva. Setting a confronto.

Partiamo dal principio. I metodi proiettivi, in generale, fanno appello alla produzione spontanea del soggetto a partire da una situazione standardizzata e uguale per tutti, che sia il più possibile neutra ed ambigua in modo da favorire i meccanismi di proiezione. Come indica il termine stesso, infatti, i test proiettivi sono basati sul meccanismo psicologico della proiezione, meccanismo inconscio per cui il soggetto “organizza e struttura un’esperienza proiettando su questa la sua esperienza interiore, la struttura stessa della sua personalità” (Passi Tognazzo, 1975, p. 12). I test proiettivi misurano il vissuto, non un’esperienza concreta e fanno dunque riferimento alla lettura di come i bambini hanno interiorizzato la loro esperienza. Il test proiettivo per sua natura prevede il verificarsi dell’identificazione proiettiva che ne diventa la base dell’interpretazione stessa. Quello che succede al bambino quando riesce a identificarsi col protagonista, in quello gli viene più semplice, in cosa gli viene più difficile è di fatto un atto proiettivo. Nel Blacky per esempio c’è la formazione reattiva, l’intellettualizzazione e la razionalizzazione e il ritiro, così allo stesso modo anche nello Sceno -test.  Sui reattivi carta-matita è più probabile che si riscontrino fenomeni come l’idealizzazione, piuttosto che la negazione. La presenza o meno di un meccanismo più o meno arcaico ovviamente dipende dalla storia di vita del bambino. In bambini fortemente traumatizzati, per esempio, si possono verificare l’uso di meccanismi arcaici come il diniego oppure in strutture  di personalità meno deficitarie l’uso dello spostamento può servire come proiezione all’esterno della rabbia, dell’aggressività perché non possono attaccare direttamente l’oggetto d’amore. Poi ci sono bambini che si affezionano a un meccanismo piuttosto che ad un altro e lo usano in maniera prevalente e massiccia nel corso di tutto il protocollo; mentre ci sono altri che sono più flessibili ed utilizzano al contempo più meccanismi. Tornando al meccanismo dell’intellettualizzazione, possiamo considerare questo meccanismo appartenente a strutture di personalità  più evolute. quindi quelli che sono molto intelligenti, quelli che dicono “questo cane fa così perché tutti i cani di solito fanno questo”, riescono a prendere le distanze e mostrano una competenza rispetto all’argomento.


Quando parliamo di contesti di utilizzo sicuramente dobbiamo tenere conto del contesto non tanto per la qualità dell’analisi che uno fa, quanto per gli elementi che il bambino può autorizzarsi ad esprimere: se un professionista utilizza il test per una fase di consultazione clinica, quindi in vista di una presa in carico sicuramente sarà più intuitivo e meno rigida l’interpretazione, se invece il test avviene all’interno di un percorso peritale, l’analisi dei meccanismi di difesa e l’analisi qualitativa del materiale emerso dovrà essere valutata che tenga sotto controllo il rischio interpretativo.
Nel contesto clinico è un’informazione del clinico e rimane un po’ sua, lo indirizCorso di alta formazionein (1)za nel lavoro che si andrà a fare. Nel contesto peritale la difficoltà sta nel fatto che il committente di relazione è spesso il giudice. e tale produzione scritta sarà in relazione del quesito specifico prodotto, in questo caso,  dal magistrato. A complessificare le cose ci sta anche il fatto che la relazione del CTU ha un risvolto divulgativo e viene formulata per più professioni coinvolte nel procedimento giuridico che non dispongono direttamente di un setting mentale clinico. In ambito clinico i test sono molto utili nei primi 3-5 incontri di consultazioni in cui si effettua la valutazione del bambino. In questa fase il test ci viene comodo perché ci da la possibilità di restituire al genitore una valutazione del bambino, aspetti del funzionamento del minore che il clinico ha riavvisato, anche attraverso le frasi che il bambino stesso pronuncia nella fase di raccolta. Nel contesto peritale invece la valutazione del minore avviene in una fase secondaria, dopo aver avuto una conoscenza approfondita dei genitori e dopo aver raccolto le informazioni di ordine anamnestico relative al minore. Di solito avviene a metà del percorso (fase di somministrazione test).

L’uso dei test proiettivi per quanto apparentemente di semplice utilizzo ha la necessità di uno studio approfondito, una corretta formazione a riguardo, prima di tutto perché si lavora con i bambini. A questo non deve mancare mai una personale capacità critica!

Valentina Crespi

Psicologa, Psicoterapeuta

Ti è piaciuto l’articolo? Iscriviti Gratuitamente alla nostra NewsLetter!

Categoria | Senza categoria

ARTICOLI CORRELATI

Commenta